A PROPOSITO DI PIP
La questione degli ex destinatari dei piani di inserimento professionale, meglio conosciuti come PIP, non è certamente di facile risoluzione. Si tratta di soggetti cui si è fornito un sussidio, una specie di reddito di cittadinanza, attribuito però con modalità discutibili. Se ci poniamo a distanza , riusciamo solo a percepire una massa indistinta di soggetti vocianti, fastidiosi come un senso di colpa, autori di cicliche messe a soqquadro della città. Ma se ci sforziamo di guardare da vicino vedremo che si tratta di persone. Sì, esseri umani in carne ed ossa, ognuno diverso dall’altro ed ognuno con la propria storia. Certo, storie di disagio ed emarginazione sociale, di reintegrazione dopo una detenzione, storie di tossicodipendenza, di disoccupazione, ma anche storie “normali” di giovani diplomati e laureati in attesa di un’occupazione più qualificata e gratificante che mai è arrivata. Un contenitore eterogeneo, insomma, di circa tremila esistenze di concittadini accomunati dalla necessità di poter in qualche modo costruirsi un habitat accettabile in una città in cui dal Commissario Serio in poi si è persa la speranza di far nascere un tessuto sociale sano, non soggiogato alle clientele elettorali. Un tessuto sociale in grado di auto-costruire il proprio futuro costruendo anche quello della propria Città. Un tessuto sociale libero anche di inventarsi attività produttive perché sostenuto da un’amministrazione non corrotta e da Istituti Bancari non collusi.
E’ risaputo come i mafiosi abbiano avuto accesso al credito nelle nostre Banche senza problemi al contrario di quanto è accaduto e accade invece a chi vuole avviare un’attività o per sua disgrazia si trovi in difficoltà… Invece il pizzo e l’usura hanno soffocato ogni possibilità, ogni progetto, mentre mafia e malaffare hanno accerchiato sempre più la pubblica amministrazione fino a penetrare divenendo determinanti nelle scelte. Sono nati da questa storia e in questa terra i PIP ed oggi presentano il conto a chi per anni ha costruito prima ed alimentato poi il gioco perverso. Ma nel presentare il conto devono anche sapere che l’Amministrazione di questa Città è molto più precaria delle loro vite e che con la loro vicenda si intreccia quella della SPO (Società per l’occupazione) partecipata della GESIP, dove silenziosamente in questi anni sono stati chiamati, con contratti a tempo determinato, una serie di figli, cugini e nipoti -il pane è pane solo per alcuni- pare di “nobile” schiatta. Diciamo precari di serie A ai quali non può certo proporsi uno scioglimento della Società.
Ma ciò che non viene detto alla luce del sole è che sembrerebbe che per le strade già circolino voci di nuove “assunzioni” con i soliti fenomeni di compravendita tristemente noti. Già, perché nel frattempo qualche centinaia di PIP, per svariate ragioni, sono usciti dal bacino dei precari e le somme “risparmiate” potrebbero essere destinate a delle new entry opportunamente occultate, magari da inserire proprio nella SPO rinnovata.
C’è da chiedersi se è possibile che tale ipotesi balzana possa avere una refluenza nelle scelte del Comune e della Regione in merito alla individuazione delle strade da percorrere per avviare un processo di risoluzione. Quanto durerà lo stallo? Il tempo forse di mettersi tutti d’accordo nel “solito” modo usando, come sempre, i bisogni dei cittadini di serie B. Mi auguro invece che questa vicenda rappresenti per tutti motivo di riflessione ed insegnamento, dato che adesso in molti sono in difficoltà nel gestire la comprensibile rabbia di chi si sente gabbato. Basterebbe difatti fare un po’ di conti all’Amministrazione che oggi piange miseria, per sapere quanto sia stato dispendioso non programmare e non pensare sin da principio a meccanismi di sostegno sociale come il reddito di cittadinanza attribuito a tutti con regole chiare e trasparenti, alla progettazione individualizzata del sostegno e a tutti quegli strumenti che si utilizzano ovunque l’interesse del cittadino e il bene della collettività siano obiettivo fondamentale e reale di chi governa.